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Vigilanza, azzerati i 90 giorni per l’estensione della licenza

Il Consiglio di Stato ha stabilito che per l’estensione della licenza di vigilanza privata basterà unicamente la comunicazione in Prefettura

Ha fatto e continuerà a far discutere la sentenza del Consiglio di Stato n. 2087 dell’11 marzo scorso in materia di estensione della licenza degli istituti di vigilanza privata. La decisione dell’Organo giurisdizionale del Governo ha inteso aggiornare quanto espresso nell’art.257-ter del TULPS, in cui si afferma che “in caso di estensione di una licenza già attiva, l’interessato deve notificare alla prefettura competente i nuovi servizi o i nuovi territori presentando un apposito progetto organizzativo e tecnico-operativo e, dopo 90 giorni, se non è sopravvenuto alcun divieto, può dare inizio all’attività, anche senza un formale atto d’assenso dell’autorità”.

Alla luce dei principi affermati con la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue, il Consiglio di Stato ha stabilito che per ottenere l’estensione della licenza non servirà più aspettare i famigerati 90 giorni. Infatti, la notifica al Prefetto varrà da sé come comunicazione di inizio attività, senza i tempi di attesa ad oggi richiesti per l’autorizzazione a procedere. Tuttavia, anche le verifiche, potranno essere attivate fin dal giorno successivo alla comunicazione in Prefettura. Ovviamente, con tutte le conseguenze del caso.

Una decisione che fa discutere e che potrebbe trasformarsi in “un pericoloso effetto boomerang”, ha affermato il Presidente di FederSicurezza, Luigi Gabriele. Infatti, i novanta giorni di attesa, rappresentavano per molte aziende il tempo necessario per organizzarsi fino all’aggiudicazione dell’appalto. Spesso gli istituti di vigilanza non dispongono, alla presentazione della notifica di estensione della licenza, di strutture, mezzi, tecnologie, personale e risorse economiche per operare in conformità con le attuali disposizioni di legge. I novanta giorni sono un lasso di tempo fondamentale: “se va bene, l’istituto ha il tempo per adeguarsi, se va male, può sempre ritirare la richiesta”. La sentenza del Consiglio di Stato, invece, crea una grossa discriminante. O le imprese dispongono fin dall’inizio della forza economica necessaria per ampliare i propri servizi ed estendere la propria offerta, oppure sono condannate ad operare dentro limiti precisi, tarpando le ali alla crescita e allo sviluppo delle stesse.

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